NEL RICORDO DI FEDERICO

Vent’anni fa esatti, all’alba del 25 settembre 2005, un ragazzo di 18 anni con i riccioli scuri stava tornando a casa dopo una notte trascorsa con gli amici, ignaro del fatto che di lì a poco perderà la vita in un modo barbaro.
Il suo cammino, infatti, si scontrerà con la furia cieca di 4 agenti della polizia di Stato, che lo picchieranno brutalmente (le perizie parleranno di 2 manganelli spezzati e lesioni profonde in tutto il corpo), fino a causarne la morte.
Quel ragazzo si chiamava Federico Aldrovandi, “Aldro” per gli amici, e il suo nome e il suo viso dagli occhi buoni a tutt’oggi continuano a vivere nel ricordo di chi lo ha amato, nelle coscienze di chi forse ha preferito voltarsi dall’altra parte e speriamo anche negli incubi di coloro che hanno soffiato via una vita ancora tutta da scrivere.
Nonostante l’ormai tristemente noto modus operandi della “malapolizia”, che tenta di giustificare e insabbiare un orrore inaudito (lo zio di Federico, Franco, racconta di un corpo “massacrato di botte”), nasce una battaglia legale durata quasi 10 anni che porterà alla luce le reali responsabilità dei 4 agenti coinvolti, che verranno condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi per «eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi», pena di cui in realtà, grazie all’indulto del 2006, sconteranno appena 6 mesi. Tutti gli agenti nel 2014 torneranno regolarmente in servizio.
La notte dell’infamia di via dell’Ippodromo a Ferrara non sarà mai comunque dimenticata da coloro che vogliono stare dalla parte giusta ed essere la voce di chi non l’ha più, zittito per sempre dalla barbarie di chi sarebbe deputato a proteggerci.
La memoria di Federico Aldrovandi vive infatti tramite molte iniziative, portate avanti in questi anni anche da tante tifoserie italiane e non che hanno fatto riecheggiare il suo nome e il suo volto negli stadi di tutto il Paese, attraverso striscioni, bandiere e coreografie.
Proprio in merito a queste iniziative, doveroso è ricordare qui l’infamia del dicembre 2017, quando venne vietato l’ingresso all’Olimpico di Roma alla bandiera con il volto di Federico; a seguito di quell’evento, la risposta del mondo ultras fu compatta ed univoca: Aldrovandi vive.
Gli ultrà di tutta Italia fecero in modo di urlare a gran voce che “per esporre la vita non dovrebbero servire né preavvisi né autorizzazioni”, mostrando che chi sa di essere dalla parte giusta non si lascia intimidire e portando fisicamente in tante curve e gradinate il viso e il nome di Federico.

Seguirono minacce, denunce e diffide da parte delle “autorità competenti”.

Ci sembra quindi doveroso fermarci a riflettere sul fatto che, se vedere su una bandiera gli occhi di un ragazzino morto a 18 anni fa più paura che prendere coscienza di un atto di aggressione di inaudita ferocia perpetrato da parte di un organo dello Stato, che si suppone sia atto a proteggere i cittadini, probabilmente qualcosa da rivedere nel sistema esiste. E non ci sembra presuntuoso dire che questo cambiamento possa partire anche da un gruppo di ragazzi che stanno in piedi sui gradoni di uno stadio.
La storia degli Ultras Tito Cucchiaroni, con le sue battaglie contro gli abusi perpetrati dalle forze dell’ordine, prima tra tutte quella per l’introduzione dei codici identificativi su caschi e divise, ne è un esempio potente.

A questo punto resta solo da dire… Ciao Federico, ciao ragazzo, che non ci siano più altri “morti di Stato”.

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